Fabrizio Bartoletti, nato a Bologna il 27 agosto 1576, contemporaneamente allo studio della filosofia, si laurea in medicina il 26 marzo 1613 e assume la cattedra di logica nell’ateneo bolognese nello stesso anno, per poi ottenere quella di anatomia nel 1616. Dal 1620 al 1625 avrà la cattedra di medicina pratica ordinaria, conservando anche il diritto di insegnare anatomia, finché il Duca Ferdinando Gonzaga, saputo delle sue qualità e della sua preparazione, non lo chiama a sé per affidargli i medesimi ruoli nella nascente Università di Mantova. Dopo cinque anni, consolidata la sua posizione nell’ateneo anche grazie alla stima dei successori di Ferdinando, egli dovrà lasciare la città di Mantova, sconvolta dalla guerra di successione e prossima all’assedio delle armate imperiali. Bartoletti farà quindi ritorno a Bologna, trovando la morte a Lendinara il 30 marzo del 1630.
Egli, pur non facendo in tempo a conoscere la scoperta della circolazione sanguigna, fu un medico attento che seppe calibrare il dogmatismo galenico al gusto per l’osservazione galileiana, sostenitore di quel nuovo metodo clinico che univa l’esame del malato alla dissezione anatomopatologica nonché chimico capace di scoprire lo zucchero di latte.
L’opera medica principale è il “Methodus in Dyspnoeam”, apparso postumo nel 1632 ma, probabilmente, finito prima del 1628, trattato in cui il Bartoletti tenta una classificazione razionale dei disturbi relativi al ritmo ed alla profondità del respiro, partendo dalla convinzione che la respirazione fosse il mezzo per far giungere al sangue, attraverso l’aria che vi si mischiava, un quid che originava lo spirito vitale che, nel cervello, mutava nello spirito animale eccitatore, tramite i nervi, gli organi e le diverse membra.

Frontespizio del “Metodus in Dyspnoeam”


Bartoletti distingue quattro classi principali di respiro malato:
– respirazione profonda e rara, tipica del delirio febbrile e dovuta all’alterazione grave dei centri regolatori della vita.
– respirazione frequente e superficiale, in rapporto con una meccanica toracica alterata. Si verifica nel dolore parietale nelle infiammazioni delle vie aeree superiori, nel dolore diaframmatico e ipocondriaco di natura infiammatoria, nella deformazione della cassa toracica, ecc.
– respirazione profonda e frequente, associata ad una meccanica polmonare alterata. Si presenta nelle lesioni anatomiche dei polmoni, nelle sinecchie pericardiche, nei versamenti toracici, nelle occlusioni delle arterie polmonari, ecc.
– respirazione rara e superficiale collegata con l’isteria, l’apoplessia e altre forme di debolezza cerebrale.
Questo trattato di patologia funzionale della respirazione restò insuperato per più di duecento anni, con il notevole merito di essere il primo a distinguere le alterazioni respiratorie in organiche e funzionali. Nel passo più saliente dell’intero volume, Bartoletti affronta le interazioni del respiro che fan presagire una morte repentina ed è più che riconoscibile una buona descrizione dell’angina pectoris di centocinquant’anni antecedente alla classica descrizione di Heberden. Nel suddetto passaggio, il medico bolognese presenta svariati casi di malati di cui ha annotato sintomi e condizioni peculiari e conclude che vi è una sorta di morte improvvisa che si presenta spesso ma che altrettanto spesso viene omessa e che sembra avere come unico sintomo evidente una difficile respirazione, motivo per il quale molti medici non pensano neppure ad essa come l’unico presagio di decesso imminente. Questi malati non hanno svenimenti, né sincopi, né palpitazioni di cuore, di frequente ravvisano intervalli in cui provano fastidi minori o nulli e a causa di essi si ingannano e sottovalutano l’unico
sintomo che potrebbe spiegare la loro sofferta condizione. La sindrome anginosa, in questa nota del testo di Bartoletti, è cristallizzata nelle sue linee generali: i malati sono colti da un particolare affanno in caso di
camminata, anche di breve entità, tanto da esser costretti a fermarsi o persino a sedersi, qualsiasi malessere scompare con la sola quiete della persona, non sono presenti segni di deficit circolatorio come polso irregolare, edemi declivi o decubito orto ipnotico, in condizioni di tranquillità ed assenza di sforzi appaiono sani, e, tuttavia, muoiono di morte improvvisa.

Tavola sinottica del Metodus in Dyspnoeam in cui è riassunta la sintomatologia dell’angina pectoris


Si ravvisano differenze con la descrizione di Heberden, soltanto nella presentazione delle sensazioni che i malati provano durante il manifestarsi dell’alterazione respiratoria. Secondo Bartoletti il male consisterebbe in una peculiare percezione di affanno, mentre, a parere del medico inglese, l’accesso sarebbe associato ad un senso di strangolamento e di ansietà, senza difficoltà di respiro. Tale discrepanza non può dipendere che dalla diversa modalità di considerare e descrivere questo sintomo, dal momento che entrambi si riferiscono ad un fenomeno identico che paragonano alla fastidiosa sensazione di oppressione che provano coloro che percorrono una lunga e irta salita. Va altresì sottolineato che sussiste un’altra lieve differenza, tra i due studiosi, ed è in merito all’irradiazione del dolore o della sensazione molesta, che secondo Heberben dallo sterno si trasmette al braccio sinistro, mentre secondo Bartoletti raggiunge la clavicola.
Una nota curiosa è riscontrabile nella convinzione, condivisa da entrambi, per cui la causa della malattia potesse risiedere nei polmoni e non nel cuore, possibilità cui non accennarono.